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Virgilio (1° in basso a sx) con la sua classe elementare (fine anni '20) |
Primeggiavano due case padronali: quella dei Dell’Oro (in via Gianella) e quella dei signori Bongiorno (il “palazzetto” di via Forze Armate con ingresso padronale di fronte alla chiesa). Il resto del paese era formato da abitazioni contadinesche e da dimore un po’ più civili, per quei tempi, per le poche famiglie di operai. A causa dell’endemica povertà, ben pochi erano i negozi, e quasi tutti di generi alimentari. Dominavano le osterie, le quali, come si sa, erano e sono i centri trasfusionali e di rianimazione dei semplici e dei poveri lavoratori. Non mancavano il farmacista, il barbitonsore-sarto, i meccanici ciclisti (allora si faceva largo uso della bicicletta), il droghiere, il prestinaio, il cartolaio-fotografo, il macellaio, vari fruttivendoli, il merciaio e lo zoccolaio che lavorava molto più dei due o tre calzolai. V’era pure un alberghetto di nessuna pretesa, quello dell’Angelo. Negli anni intorno ai trenta si installò accanto al botteghino del lotto un fantomatico Istituto Bancario che ben presto si dimostrò la tomba dei miseri risparmi di noi poveri spiantati. Anch’io ricordo di aver perso i miei risparmi (poche centinaia di lire) racimolati prestando servizio in chiesa come chierichetto.
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Lezione di economia domestica alla scuola S.Anselmo da Baggio negli anni 30. |
Ma
ritorniamo sull’argomento del lavoro: è bene aver un quadro sufficientemente
chiaro dei baggesi dei primi anni dell’epoca fascista. La prima guerra aveva
scompaginato sensibilmente il mondo operativo degli abitanti, cosicché, ad una
attività quasi esclusivamente agricola, se ne affiancò un’altra assai intensa e
ben accetta, quella cioè di prestatore d’opera nelle fabbriche della metropoli,
e prime fra queste la De Angeli Frua, la Borletti, il Bellavita, la
Salmoiraghi, e così via. Quindi se la via Gianella era abitata da “obbligati”,
cioè da contadini costretti a defatigarsi vita natural durante sui vasti
possedimenti dei Dell’Oro, gli abitanti di via Sgambati e molti altri
sparpagliati in tutta Baggio erano piccoli coltivatori diretti o affittuari. La
loro vita era assai grama: mattina presto, sera tardi; pochi soldi e molto
lavoro. Se gli uomini si recavano sui campi con carro e cavallo prima del
sorgere del sole, le donne con i piccoli raggiungevano il genitore verso le
otto, spingendo delle grandi gabbie in cui si trovavano grossi gallinacei
starnazzanti. Non mancava il più grandicello dei figli che spingeva la carriola
in cui era riposto il cibo del mezzodì.
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L'Angelus di Millet |
Alle 18, o giù di lì, la carovana
rientrava con il carro pesante di erba. Munte le vacche, il latte veniva
affidato al signor Richèt Balestri, il quale, misuratolo, lo versava nel grande
bidone ribaltabile (la bunza) perché l’addetto lo consegnasse alla Centrale.
Era un’economia povera che non lasciava margini a sprechi di alcun genere e
che, per altro, pretendeva l’apporto di tante braccia forti e volenterose. A
quei tempi era vivace l’allevamento dei bachi da seta, per cui nei campi si
alternavano i gelsi con i filari d’uva americana e, qua e là, qualche ciliegio,
noce, melo e altri alberi da frutto nostrani.
Gli operai, alle sette del mattino, in massima parte in sella alle loro biciclette, raggiungevano i rispettivi posti di lavoro; le operaie, invece, si servivano del tram. Come musulmane di serie B, prima di salire in vettura, si sfilavano gli inseparabili zoccoli e si mettevano le “sibrette” (ciabatte). La sera si ripeteva in senso contrario la cerimonia, convinte di aver dato un valido contributo alle finanze domestiche, risparmiando cuoio. Le vie si rianimavano alle nove meno un quarto per le frotte vocianti dei ragazzi che si dirigevano alla scuola elementare di Via A. da Baggio di recente costruzione.
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Scuole di Via S.Anselmo da Baggio |
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