giovedì 27 febbraio 2014

SCRITTI (Parte 3) Storia di Baggio: strani personaggi

Baggio Vecchia negli anni '30 (archivio de Il Diciotto)
Se mi riesce, vorrei ripescare dalle ombre del passato qualche baggese dal modo di fare alquanto originale (non dimentichiamo il “baggiano” di manzoniana memoria!). Al primo posto metterei il “mangiapapina”, un pover uomo al quale madre natura aveva negato tutto. Sgraziato nel fisico e nella mente, si esibiva, dietro piccoli compensi, in numeri atletici assolutamente vietati alle sue possibilità. Non vi sto a dire a quante follie fu spinto dalla rozza socialità degli abitanti di quel tempo. Un bel dì, ad esempio, da un ragazzotto in vena di scherzi, fu sollecitato a saltare una corda posta a circa trenta centimetri da terra. Compenso, una manciata di zucchero. Il Mangiapapina prende la rincorsa, ma impedito com’era non seppe superare la prova. Al premio aveva comunque diritto. Povera creatura: in bocca, invece del dolce prodotto, si ritrovò la repellente e bruciante “soda” che lo fece soffrire non poco, tra il divertimento (?!) dei presenti.

Osteria Tri Basei di Via Rismondo (Archivio de Il Diciotto)
Al secondo posto metterei il “Gamba de sàc”. Era costui un’infelice creatura alla quale era stata amputata la parte inferiore della gamba sinistra e che personalmente risolveva il problema della protesi fasciandosi con strisce ricavate da comuni sacchi di juta. Già selvaggio di natura, la disgrazia l’aveva maggiormente inviperito; viveva d’accattonaggio ed era il terrore dei ragazzi che, richiamandogli in coro la sua gamba di sacco, ne facevano scattare l’ira furente, trasformandolo in un forsennato Don Chisciotte. Brutti istanti viveva chi gli cadeva a tiro! Di notte era il nostro incubo.
Se il medico entrava nelle famiglie che socialmente potevano, la massa dei poveretti (ed erano tanti) si rivolgeva di preferenza, almeno all’inizio delle malattie, a coloro che avevano il “segno”. I “segnù” erano persone beneficiate da Dio di facoltà terapeutiche eccezionali. Le guarigioni seguivano a gesti e manipolazioni sul paziente, con l’accompagnamento di particolari preghiere o formule magiche. Non mancavano gesti di perorazione alle forze arcane, cosicché il risultato, psicologicamente, era sempre positivo. Ogni “segnù” aveva il suo rituale e quello che mi colpiva di più era il rituale di un buon uomo, in possesso di tale facoltà, abitante al monastero, il quale faceva centro del suo complesso cerimoniale il sedere del paziente. Ora, ripensandoci bene, viene da chiedersi: aveva proprio tutti i torti?
Cinema Radio di Via Rismondo (Archivio de Il Diciotto)
Factotum della Casa del Fascio era il “Burgil”, spassosa figura dagli orizzonti assai limitati, sempre alle prese con il mestolo per la quotidiana razione di “sbobba” da offrire ai meno abbienti ed in perenne contrasto con i più avidi (la fame era tanta).
C’era il “Carletu màt”, un giovanotto scarso di comprendonio, il quale, munito di un berretto da tramviere, tutto serio e cosciente del suo lavoro, dava il segnale di partenza ai tram, quando questi, già partiti, puntavano verso il centro della città.
Il “Pep Balester” era il buontempone del rione: organizzava le feste religiose e civili, allietate dal corpo bandistico, di cui faceva parte e che, in abbondanti libagioni, affogavano presso tutte le osterie del paese. Guai a tralasciarne una!
Il “Giusepin de la Casinascia” era lo spassoso nanerottolo che, vestito da lord inglese, dava tono e dignità alla “Faltracada” (complesso bandistico dagli strumenti più strani, fonti di rumori infernali). El Giusepin de la Casinascia, sommerso dagli orchestrali in movimento per le vie di Baggio, aristocraticamente in frac e tuba, con occhiali smisurati e senza lenti, fingeva di leggere un vistoso trattato di filosofia sorretto al rovescio. Il compenso di tanta prestazione era, come sempre, una massiccia bevuta. Questi erano, ai miei tempi, i tipi più spassosi; tuttavia non mancavano le figure minori che contribuivano a dare l’esatta idea dello spirito gioviale e semplice dei buoni baggesi.
Giuseppin de la Casinascia sostenuto da La Faltracada (Archivio de Il Diciotto)
Come si può dimenticare la “Cagnara”, quella devota nubile, proprietaria della merceria di fronte alla chiesa? Condivideva la sua esistenza con un cane di nessuna pretesa, ma che per noi ragazzi era motivo di mille scherni e quindi di mille risate. Che dire del Funsu Sioli, panificatore, fedele discepolo di Bacco? Tra gli aspetti interessanti dell’onesto prestinaio entrava pure la sbornia allegra e canterina. Purtroppo, quando i fumi avevano il sopravvento, tra una biascicatura e l’altra, anziché cantare “nell’Arno d’argento si specchia il firmamento…” gorgogliava “nell’Arno d’argento si specchia il pirlamento…”
L’Ambrosetti era chiamato el “Cù de pel” perché indossava un paio di pantaloni rafforzati di solido cuoio, essendo il suo lavoro quello di tassista. Tipo gioviale, come giovialoni saranno poi i suoi figli Aldo e Attilio.

domenica 16 febbraio 2014

SCRITTI (Parte 2) Storia di Baggio: il lavoro.

Virgilio (1° in basso a sx) con la sua classe elementare (fine anni '20)
Primeggiavano due case padronali: quella dei Dell’Oro (in via Gianella) e quella dei signori Bongiorno (il “palazzetto” di via Forze Armate con ingresso padronale di fronte alla chiesa). Il resto del paese era formato da abitazioni contadinesche e da dimore un po’ più civili, per quei tempi, per le poche famiglie di operai. A causa dell’endemica povertà, ben pochi erano i negozi, e quasi tutti di generi alimentari. Dominavano le osterie, le quali, come si sa, erano e sono i centri trasfusionali e di rianimazione dei semplici e dei poveri lavoratori. Non mancavano il farmacista, il barbitonsore-sarto, i meccanici ciclisti (allora si faceva largo uso della bicicletta), il droghiere, il prestinaio, il cartolaio-fotografo, il macellaio, vari fruttivendoli, il merciaio e lo zoccolaio che lavorava molto più dei due o tre calzolai. V’era pure un alberghetto di nessuna pretesa, quello dell’Angelo. Negli anni intorno ai trenta si installò accanto al botteghino del lotto un fantomatico Istituto Bancario che ben presto si dimostrò la tomba dei miseri risparmi di noi poveri spiantati. Anch’io ricordo di aver perso i miei risparmi (poche centinaia di lire) racimolati prestando servizio in chiesa come chierichetto.

Lezione di economia domestica alla scuola S.Anselmo da Baggio negli anni 30.
Ma ritorniamo sull’argomento del lavoro: è bene aver un quadro sufficientemente chiaro dei baggesi dei primi anni dell’epoca fascista. La prima guerra aveva scompaginato sensibilmente il mondo operativo degli abitanti, cosicché, ad una attività quasi esclusivamente agricola, se ne affiancò un’altra assai intensa e ben accetta, quella cioè di prestatore d’opera nelle fabbriche della metropoli, e prime fra queste la De Angeli Frua, la Borletti, il Bellavita, la Salmoiraghi, e così via. Quindi se la via Gianella era abitata da “obbligati”, cioè da contadini costretti a defatigarsi vita natural durante sui vasti possedimenti dei Dell’Oro, gli abitanti di via Sgambati e molti altri sparpagliati in tutta Baggio erano piccoli coltivatori diretti o affittuari. La loro vita era assai grama: mattina presto, sera tardi; pochi soldi e molto lavoro. Se gli uomini si recavano sui campi con carro e cavallo prima del sorgere del sole, le donne con i piccoli raggiungevano il genitore verso le otto, spingendo delle grandi gabbie in cui si trovavano grossi gallinacei starnazzanti. Non mancava il più grandicello dei figli che spingeva la carriola in cui era riposto il cibo del mezzodì. 
L'Angelus di Millet
Alle 18, o giù di lì, la carovana rientrava con il carro pesante di erba. Munte le vacche, il latte veniva affidato al signor Richèt Balestri, il quale, misuratolo, lo versava nel grande bidone ribaltabile (la bunza) perché l’addetto lo consegnasse alla Centrale. Era un’economia povera che non lasciava margini a sprechi di alcun genere e che, per altro, pretendeva l’apporto di tante braccia forti e volenterose. A quei tempi era vivace l’allevamento dei bachi da seta, per cui nei campi si alternavano i gelsi con i filari d’uva americana e, qua e là, qualche ciliegio, noce, melo e altri alberi da frutto nostrani.
Gli operai, alle sette del mattino, in massima parte in sella alle loro biciclette, raggiungevano i rispettivi posti di lavoro; le operaie, invece, si servivano del tram. Come musulmane di serie B, prima di salire in vettura, si sfilavano gli inseparabili zoccoli e si mettevano le “sibrette” (ciabatte). La sera si ripeteva in senso contrario la cerimonia, convinte di aver dato un valido contributo alle finanze domestiche, risparmiando cuoio. Le vie si rianimavano alle nove meno un quarto per le frotte vocianti dei ragazzi che si dirigevano alla scuola elementare di Via A. da Baggio di recente costruzione.
Scuole di Via S.Anselmo da Baggio

sabato 8 febbraio 2014

Scritti (Parte 1): Storia del territorio di Baggio

Baggio anni '20: capolinea del tram e casermetta dei carabinieri.

Le mie conoscenze dirette del rione di Baggio risalgono agli anni ’20, ma tramite mio padre la conoscenza giunge all’anno della sua nascita, cioè al 1879. Mio padre, logicamente, non mi risparmiava le notizie avute in eredità dal nonno Virgilio, uno dei benemeriti casellanti del tronco ferroviario Milano-Alessandria, all’altezza della Ca’ Bianca, e proprietario di una casa in via Due Giugno a Baggio. Il nonno nacque a Pregnana nel 1848. La nascita di mia madre avvenne invece nei vecchissimi locali ricavati dal Monastero degli Olivetani, locali che albergarono generazioni di Lampertico, provenienti, a detta di mio padre, dalla vicina Confederazione Elvetica.

Riferirò, alla buona, del mio Rione posto ad occidente della metropoli lombarda, allorché, nel 1923 cessò di essere comune a sé. Da questo connubio, il nuovo rione trasse vantaggio? Le clausole tra i due sindaci di tale inglobo vennero, in seguito, depositate negli archivi milanesi; è certo che Baggio continuò ad essere agricola e migliorie per i pochi abitanti non se ne videro molti. L’Amministrazione ci portò il tram n.34, che faceva capolinea in Largo Cairoli e per il quale, in periferia, il bigliettaio doveva girare il trolley una volta giunto al lato della ex-casermetta. In seguito, sull’area dell’attuale oratorio femminile di Via Forze Armate si allestì la “rotonda”. V’era pure la stazione dei Carabinieri (e chi non ricorda il Maresciallo Cilia ?); il Curato beneficiò del titolo di Prevosto, perché tale era (ed è) il grado dei responsabili delle parrocchie cittadine. Per il resto i baggesi (ci si guardi bene dal chiamarli “baggiani”) continuarono ogni autunno a rimettere al sole le fumiganti terre che avevano arricchito i capaci granai dei Dell’Oro (ricca famiglia latifondista) ed i troppo stretti depositi dei piccoli proprietari dei terreni (fra cui anche i miei nonni materni). 
Sessione di orticoltura a scuola A. da Baggio (primi anni '30)
Baggio, in quegli anni, non vantava una rete viaria troppo complessa; infatti, provenendo dal centro, lungo una stradicciola di pochi metri di larghezza, si giungeva nell’abitato. Da qui, una arteria di nessuna importanza (le attuali Vie Rismondo e Scanini) si perdeva nei prati confinanti con Quinto Romano, mentre la strada, chiamiamola principale, dopo aver lasciato sulla destra la via Masaniello, raggiungeva la Chiesa, quella in cui si trova il famoso organo. L’attuale via Gianella, all’altezza circa di Via Valle Isorno, si biforcava ed una stradicciola portava a Cesano Boscone, mentra l’altra arrivava (come tutt’ora arriva) a Muggiano. Proseguendo poi per via Ceriani, si voltava in via Due Giugno e, giunti in Piazza Anita Garibaldi, un’arteria puntava su Cusago, mentre una seconda su Quinto Romano. All’altezza della attuale Via Anselmo da Baggio, la strada curvava raggiungendo Seguro. Queste erano le uniche strade di Baggio quando io ero un ragazzo.
Funerale in via Ceriani, fine anni '40.
L’illuminazione era quanto mai scarsa; l’acqua si attingeva alle “trombe” (pompe idrauliche) e non esisteva la rete fognaria. Il servizio igienico si trovava o nel mezzo della corte o in un angolo, e serviva a tutti gli abitanti del cortile che, come nel mio caso, raggiungevano la riguardevole cifra di una trentina di persone. Dove finivano gli scarichi del gabinetto? Nel pozzo nero, dal quale, ad intervalli regolari, il contadino, col “bonzetto” (bonza), nel silenzio della notte lo vuotava, tuffando ritmicamente e rumorosamente il secchio munito di una lunga pertica. E’ inutile soffermarsi sui particolari sgradevoli; certo è che parte dei liquami si incanalava nella piccola roggia (rungèt) che percorreva il centro delle vie e nella quale finivano pure le acque sporche rovesciate dai mastelli (sigiùn). Queste rogge costituivano lo scarico e raggiungevano i vari fontanili di cui Baggio era ricca.

El Monastée negli anni 40.

domenica 2 febbraio 2014

CENNI BIOGRAFICI di Virgilio Chiesa


Cresciuto, a cavallo della Seconda Guerra, in una famiglia di estrazione proletaria ma di saldissimi principi cattolici ed antifascisti ed educato secondo la migliore dottrina cristiano sociale, fu spedito in seminario dal padre (nostro nonno Enrico, vedi sezione "scritti"). Il collegio gesuita salva Virgilio dalle brutture della guerra e della dittatura ma non riesce a contenere tutto il suo carico di umana vitalità e difatti non appena possibile evita i voti e comincia a sgobbare.
Farà lavori anche duri. Lavorerà sempre: anche frequentando l’Università e laureandosi in Lettere e Filosofia, anche durante tutta la sua carriera di insegnante di Lettere  Storia e Geografia, anche crescendo i suoi cinque figli. Lavorerà fino a quando, proprio ormai alla fine, la sua tremenda malattia non l’avrà fermato.
Saggio di musica - Scuole Medie di Cesano Boscone
Virgilio quando insegnava, almeno così diceva, si riposava; e si divertiva (era fatto per quello!), ma fu anche trasportatore, operaio, fattorino, imbianchino ed altro ancora. Uno degli insegnamenti più grandi che ci ha lasciato riguarda proprio la dignità del lavoro. Diceva spesso “Bisogna  aveg vergogna de andà a rubà, minga de laurà!” (Occorre vergognarsi di andare a rubare, non di lavorare!). Al di là di questo papà ci ha lasciato la più viva e sincera fede nel valore della solidarietà e nella Divina Provvidenza (quante volte l’abbiamo sentito dire “quel che butti dalla finestra, ti ritorna moltiplicato per dieci volte dal portone”!), l’attaccamento al territorio ed alla sua storia, una disincantata gioia di vivere (amava scherzare con tutti ed essere garbatamente ironico, ma sapeva perfettamente quando era il momento di fare sul serio), la considerazione per ogni essere umano, soprattutto per chi tende una mano (fu insignito della medaglia d'argento AVIS), il facile orientamento ai rapporti umani, la propensione ad “abbattere i muri” fra le persone e la concezione di famiglia inclusiva. 
Con allieve di Cesano Boscone in visita a casa nostra a Baggio.
A questo riguardo, ci piace ricordare quanti allievi sono passati per le mura di casa nostra in Via Cabella: dalle Scuole Medie Statali di Arluno e di Cesano Boscone, dall’Istituto Marchiondi di via Noale, dalla Media Statale “C.Correnti” del Quartier degli Olmi , dalla Civica Scuola Serale “Anselmo da Baggio” ed altre ancora. Per tutti (per noi, per loro) erano bei momenti di incontro, di ilarità e, se mamma Ambrogina era stata avvertita per tempo, di condivisione di buoni dolci o altri manicaretti. Virgilio portava in gita i suoi studenti non solo (e non tanto) ad interessanti mete turistiche, ma se la situazione in classe richiedeva uno stacco, portava l’intera scolaresca per le vie e le piazze di Baggio, raccontando mille aneddoti dei tempi che furono; una sorta di “scuola di strada” svolta forse per infondere nei ragazzi la passione per la storia.

 1976: Con la 2^ G  del Q.re Olmi in visita al Monastero degli Olivetani