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Baggio Vecchia negli anni '30 (archivio de Il Diciotto) |
Se mi riesce, vorrei ripescare dalle ombre del passato qualche baggese dal modo di fare alquanto originale (non dimentichiamo il “baggiano” di manzoniana memoria!). Al primo posto metterei il “mangiapapina”, un pover uomo al quale madre natura aveva negato tutto. Sgraziato nel fisico e nella mente, si esibiva, dietro piccoli compensi, in numeri atletici assolutamente vietati alle sue possibilità. Non vi sto a dire a quante follie fu spinto dalla rozza socialità degli abitanti di quel tempo. Un bel dì, ad esempio, da un ragazzotto in vena di scherzi, fu sollecitato a saltare una corda posta a circa trenta centimetri da terra. Compenso, una manciata di zucchero. Il Mangiapapina prende la rincorsa, ma impedito com’era non seppe superare la prova. Al premio aveva comunque diritto. Povera creatura: in bocca, invece del dolce prodotto, si ritrovò la repellente e bruciante “soda” che lo fece soffrire non poco, tra il divertimento (?!) dei presenti.
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Osteria Tri Basei di Via Rismondo (Archivio de Il Diciotto) |
Al secondo
posto metterei il “Gamba de sàc”. Era costui un’infelice creatura alla quale
era stata amputata la parte inferiore della gamba sinistra e che personalmente
risolveva il problema della protesi fasciandosi con strisce ricavate da comuni
sacchi di juta. Già selvaggio di natura, la disgrazia l’aveva maggiormente
inviperito; viveva d’accattonaggio ed era il terrore dei ragazzi che,
richiamandogli in coro la sua gamba di sacco, ne facevano scattare l’ira
furente, trasformandolo in un forsennato Don Chisciotte. Brutti istanti viveva
chi gli cadeva a tiro! Di notte era il nostro incubo.
Se il medico
entrava nelle famiglie che socialmente potevano, la massa dei poveretti (ed
erano tanti) si rivolgeva di preferenza, almeno all’inizio delle malattie, a
coloro che avevano il “segno”. I “segnù” erano persone beneficiate da Dio di
facoltà terapeutiche eccezionali. Le guarigioni seguivano a gesti e
manipolazioni sul paziente, con l’accompagnamento di particolari preghiere o
formule magiche. Non mancavano gesti di perorazione alle forze arcane, cosicché
il risultato, psicologicamente, era sempre positivo. Ogni “segnù” aveva il suo
rituale e quello che mi colpiva di più era il rituale di un buon uomo, in
possesso di tale facoltà, abitante al monastero, il quale faceva centro del suo
complesso cerimoniale il sedere del paziente. Ora, ripensandoci bene, viene da
chiedersi: aveva proprio tutti i torti?
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Cinema Radio di Via Rismondo (Archivio de Il Diciotto) |
Factotum
della Casa del Fascio era il “Burgil”, spassosa figura dagli orizzonti assai
limitati, sempre alle prese con il mestolo per la quotidiana razione di
“sbobba” da offrire ai meno abbienti ed in perenne contrasto con i più avidi
(la fame era tanta).
C’era il
“Carletu màt”, un giovanotto scarso di comprendonio, il quale, munito di un
berretto da tramviere, tutto serio e cosciente del suo lavoro, dava il segnale
di partenza ai tram, quando questi, già partiti, puntavano verso il centro
della città.
Il “Pep
Balester” era il buontempone del rione: organizzava le feste religiose e
civili, allietate dal corpo bandistico, di cui faceva parte e che, in
abbondanti libagioni, affogavano presso tutte le osterie del paese. Guai a
tralasciarne una!
Il “Giusepin
de la Casinascia” era lo spassoso nanerottolo che, vestito da lord inglese,
dava tono e dignità alla “Faltracada” (complesso bandistico dagli strumenti più
strani, fonti di rumori infernali). El Giusepin de la Casinascia, sommerso
dagli orchestrali in movimento per le vie di Baggio, aristocraticamente in frac
e tuba, con occhiali smisurati e senza lenti, fingeva di leggere un vistoso
trattato di filosofia sorretto al rovescio. Il compenso di tanta prestazione
era, come sempre, una massiccia bevuta. Questi erano, ai miei tempi, i tipi più
spassosi; tuttavia non mancavano le figure minori che contribuivano a dare
l’esatta idea dello spirito gioviale e semplice dei buoni baggesi.
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Giuseppin de la Casinascia sostenuto da La Faltracada (Archivio de Il Diciotto) |
Come si può dimenticare la “Cagnara”, quella devota nubile, proprietaria della merceria di fronte alla chiesa? Condivideva la sua esistenza con un cane di nessuna pretesa, ma che per noi ragazzi era motivo di mille scherni e quindi di mille risate. Che dire del Funsu Sioli, panificatore, fedele discepolo di Bacco? Tra gli aspetti interessanti dell’onesto prestinaio entrava pure la sbornia allegra e canterina. Purtroppo, quando i fumi avevano il sopravvento, tra una biascicatura e l’altra, anziché cantare “nell’Arno d’argento si specchia il firmamento…” gorgogliava “nell’Arno d’argento si specchia il pirlamento…”
L’Ambrosetti era chiamato el “Cù de pel” perché indossava un paio di pantaloni rafforzati di solido cuoio, essendo il suo lavoro quello di tassista. Tipo gioviale, come giovialoni saranno poi i suoi figli Aldo e Attilio.